Il Calendario del Cibo Italiano targato AIFB apre questa nuova settimana con un argomento affascinante quanto insidioso, la cucina di campanile: sarà ambasciatrice per noi Stefania Mulè del blog BigShade, e vi segnalo qui il suo post ufficiale.
Se di primo acchito il termine “campanile” può non farvi venire in mente niente di particolare, pensate al suo derivato, “campanilismo”, definito nei dizionari come un attaccamento eccessivo ed esasperato alla propria città, per difendere la quale si può anche ricorrere alla violenza. Mettetevi comodi, che prima di parlare di cibo (vi aspettano i Sedani Ripieni alla Pratese), cercheremo capire qualcosa di più
Il campanilismo nella storia del nostro Paese è qualcosa di inevitabile, considerando che l’Unità dell’Italia è avvenuta solamente 155 anni fa: non è semplice cancellare con un colpo di spugna secoli di divisioni, intrighi, lotte per la supremazia. Se pensiamo agli ideali campanilistici oggi ci vengono in mente Pisa e Livorno, Bergamo e Brescia, Massa e Carrara, ma anche la storica divisione interna della città di Siena, la rivalità delle cui contrade culmina ogni anno con il famoso Palio.
Che cosa c’entra il campanile in tutto questo? Perchè è il campanile a determinare le divisioni culturali, sociali, tradizionali e anche sportive (soprattutto attualmente) tra i vari paesi o all’interno di una stessa città? La risposta ci viene data, sembrerebbe, dalla rivalità storica tra due paesi limitrofi della provincia di Napoli, San Gennaro Vesuviano e Palma Campania: il lato est del campanile del primo paese era rivolto verso il secondo, e proprio per non permettere ai cittadini di Palma Campania di leggere l’ora, fu lasciato volutamente sprovvisto di orologio. Se non è campanilismo questo!
Eppure, il campanilismo ha svariati aspetti positivi: se non fosse per le divisioni territoriali che caratterizzano il nostro Bel Paese, infatti, oggi non saremmo qui a dirimerci tra usi, costumi, stili architettonici – restando in tema, si dice che proprio guardando i campanili delle chiese ci si rende conto di dove siamo! – e, last but non the least, tra tradizioni culinarie diverse quanto ricche: una miriade di piatti che fanno parte della nostra storia gastronomica ma che non rappresentano l’intero Paese.
Io sono pratese. Lo sono fino ad un certo punto e questa appartenenza l’ho sempre sentita poco, lo ammetto. Sono nata a Firenze e cresciuta a Poggio a Caiano, un piccolo paesino che si trovava un tempo in provincia di Firenze. Avevo 8 anni quando, nel 1992, Prato divenne provincia e “inglobò” anche noi. Eppure, per lungo tempo, sono rimasta attaccata a Firenze dentro e fuori (orgogliosamente mi vantavo del fatto che il nostro prefisso telefonico fosse rimasto lo 055 fiorentino anziché lo 0574 pratese), complice un babbo fiorentino doc (tranne che dal punto di vista sportivo ) che ha sempre ripreso la mamma, pratese, per la parlata “strasci’ata” e per quella sua manìa di tenere il volume della voce altissimo (i pratesi capiranno, a Prato “e c’è i telai!”).
Ecco, la mamma ed i miei nonni materni – quella nonna tanto brava in cucina che ho visto all’opera troppo poco tempo – sono ciò che veramente mi fa sentire legata alla città di Prato. La cucina della nonna Lilia, le sue ricette che ho riscoperto con piacere ormai adulta o quasi, sono state e sono tuttora il veicolo che mi ha condotta ad avvicinarmi alle mie tradizioni non solo toscane ma anche, più nello specifico, pratesi, riscoprendole con grande piacere.
Prima di passare a parlare davvero di cibo, però, ci tengo a sottolineare che anche a Prato, da buoni italiani campanilisti, abbiamo la nostra bella rivalità: nel mirino ci sono gli abitanti di Pistoia, rei di aver rubato, ben 700 anni fa, la Sacra Cintola, ritenuta la cintura che la Vergine donò a San Tommaso come prova della sua assunzione in cielo. Sembra che tale reliquia sia arrivata a Prato nel 1141, con le crociate, durante le quali il pratese Michele, che combatteva a Gerusalemme, si innamorò di una giovane donna del luogo, la sposò e ricevette come dono di nozze proprio la Sacra Cintola.
La notte tra il 27 e il 28 luglio del 1312 Ser Landetto detto Musciattino, un chierico pistoiese, si intrufolò nelle mura della città di Prato e si introdusse nella Cattedrale di Santo Stefano, dove la reliquia era conservata. La leggenda narra che, appena rubata la cintola, una fitta nebbia avvolse la città tanto da far perdere a Musciattino il senso dell’orientamento. Egli, dopo tanto vagare nell’oscurità, credette di esser giunto davanti alle porte di Pistoia e gridò che gli venisse aperto, ché aveva con sé “la cintola de’pratesi”: egli si trovava però ancora a Prato, dove fu prontamente arrestato e condannato a morte, non prima però di avergli tagliato le mani. Si narra che l’impronta di una delle sue mani sia ancora visibile sullo stipite di una delle porte laterali del Duomo di Prato.
Nonostante la cintola, insomma, non sia mai uscita dalle mura di Prato in questi secoli ormai trascorsi, i pratesi sembrano non aver mai perdonato per il tentato furto i pistoiesi, i quali dal canto loro parrebbero essere ancora arrabbiati per non essere riusciti nell’impresa di umiliare i vicini pratesi.
Da secoli, la Sacra Cintola viene esposta alla venerazione dei fedeli in occasione della festa della Madonna della Fiera, l’8 settembre (giorno del patrono della città di Prato): se un tempo vi erano grandi flussi di pellegrini e di fedeli ma anche di mercanti – che traevano vantaggio dall’enorme affluenza di gente per i loro commerci di panni e tessuti – oggi gli interessi commerciali hanno lasciato il posto a svaghi, spettacoli, giostre e fuochi artificiali, nonostante non si siano persi i valori religiosi che l’ostensione della Sacra Cintola dell’8 settembre porta con sé.
A proposito di campanilismo pratese, quella che vi sto per illustrare è proprio una ricetta che tradizionalmente si cucinava in città per la festa della Madonna della Fiera (parlo al passato perché, purtroppo, la tradizione di preparare questa pietanza si è un po’ persa, ed è un vero peccato). Sarò breve, giuro, anche perché sembra che l’origine dei Sedani alla Pratese sia sconosciuta, nonostante se ne ritrovino tracce in dipinti di autori toscani del XVI secolo e in alcuni documenti di ricette medievali: la sola cosa certa, dunque, è che la ricetta risale a questo periodo.
Cuore della ricetta è il sedano, quello dolce, un ortaggio che ha bisogno, per crescere, di un terreno continuamente irrigato (e il territorio pratese gli offre le condizioni di crescita ideali); le massaie usavano un tempo le coste esterne più dure per non buttare via niente, come insegna la buona tradizione contadina: assemblando le coste con le carni avanzate (stufate o bollite), macinate ed unite a odori e spezie, ne veniva fuori una pietanza gustosissima.
Oggi è più facile che per il ripieno si utilizzi del macinato acquistato appositamente; l’importante è che sia di vitello, se vogliamo preparare i “veri” sedani alla pratese. E anche le coste di sedano, beh, meglio che siano un pochino più tenere, per quanto sia necessario che siano grandi e robuste.
La ricetta che vi riporto è tratta dal libro “Bisenzio: Tradizioni e Cucina” di Umberto Mannucci – scrittore, storico e cultore delle tradizioni locali pratesi venuto a mancare soltanto due anni fa, all’età di 91 anni – che riporta le sue testimonianze ricordando come gli abitanti della Valle del Bisenzio riuscivano a vivere una vita dura e felice con poco. Il bacino del Bisenzio, va detto, comprende non solo la provincia di Prato, ma anche quelle di Firenze e Pistoia: quasi tutte le ricette sono quindi per ovvie ragioni influenzate dalle vicine città. Almeno quattro, però, sono piatti che contraddistinguono solo ed esclusivamente la città di Prato: i famosi cantuccini, la corona candita, le polpette di Carnevale e, giustappunto, i sedani ripieni, un piatto, quindi, campanilista per eccellenza! La mia sola modifica rispetto all’originale è stata quella di aggiungere un ciuffo di foglie di sedano nel ripieno, in perfetta armonia con la logica del non-spreco degli avanzi.
- PER IL RAGU' (500 g):
- ½ cipolla rossa
- ½ costa di sedano
- ½ carota
- 1 spicchio d’aglio
- 50 ml di olio extravergine di oliva
- 2 foglie di basilico
- ½ noce moscata
- 1 rametto di rosmarino
- 3 foglie di salvia
- 1 ciuffetto di pepolino
- 2 foglie di alloro
- 100 g di fegatini di pollo
- 80 g di lonza di maiale macinata
- ½ salsiccia fresca toscana (50 g)
- 120 g di lonza di manzo macinata
- ½ bicchiere di vino rosso
- 250 gr di pomodori pelati
- ¼ di tubetto di concentrato di pomodoro
- sale
- pepe
- PER I SEDANI:
- 20 coste di sedano grandi e robuste
- 60 g di foglie di sedano
- 1 spicchio d’aglio
- 80 g di mortadella (4 fette fini)
- 1 bel mazzo di prezzemolo
- 250 g di macinato di vitello
- 15 g di parmigiano grattugiato
- 4 uova
- 500 ml di brodo di carne
- sale
- pepe
- noce moscata
- farina 00 per la panatura
- olio per friggere
- Iniziate preparando il ragù: tritate finissimamente la cipolla con la mezzaluna e, in un tegame capiente e coi bordi alti, fatela soffriggere a fuoco dolce per circa 5 minuti assieme all’olio, mescolando spesso, fino a che non diventerà trasparente. A questo punto preparate il restante battuto tritando sedano, carota e aglio con la mezzaluna (non usate il mixer, che ne estrae tutta l’acqua!), uniteli alla cipolla e lasciate stufare sempre a fuoco lento, coperti, per altri 10 minuti.
- Adesso unite gli odori interi (basilico, noce moscata grattugiata, rosmarino, salvia, pepolino e alloro) e lasciate insaporire ancora per qualche minuto, dunque unite i fegatini di pollo e lasciateli rosolare per circa 10 minuti. Estraete i fegatini, tagliateli finemente al coltello o con la mezzaluna, quindi rimetteteli nel tegame unendo anche il macinato di manzo e di maiale e la salsiccia privata del budello e sbriciolata; dopo aver rosolato qualche minuto, versate il vino e lasciatelo evaporare completamente alzando un pochino la fiamma, dunque unite i pomodori pelati ed il concentrato di pomodoro diluito in ⅓ di bicchiere di acqua calda, aggiustate di sale e pepe e amalgamate bene.
- Continuate la cottura, coperto e di nuovo a fuoco lento, per circa due ore, mescolando di tanto in tanto. Quando il ragù sarà pronto eliminate gli odori lasciati interi (basilico, rosmarino, salvia, pepolino e alloro) e tenete in caldo, coperto.
- Mentre il ragù cuoce, dedicatevi ai sedani: mettete subito a bollire una pentola con acqua salata. Tagliate i sedani dalla parte della radice, in modo che le costole si stacchino, scegliete circa 20 coste che siano non troppo dure, ma grandi e rigogliose e lavatele benissimo sotto l’acqua corrente, quindi tagliatele in pezzi (“monconi”) lunghi circa 7 cm; dovrete ottenerne 60.
- Scottate nell’acqua bollente i sedani per 10 minuti, quindi scolateli (dovranno essere al dente), passateli sotto il getto dell’acqua fredda, togliete loro i fili delle nervature e poneteli su di un canovaccio a sgocciolare, coperti con un altro panno: dovranno perdere tutta la loro acqua.
- Nel frattempo, preparate il ripieno tritando con la mezzaluna le foglie di sedano, l’aglio, la mortadella ed il prezzemolo; amalgamate il trito in una ciotola assieme al macinato di vitello, il parmigiano grattugiato, due uova, un pizzico di sale, una macinata di pepe e abbondante noce moscata.
- Quando i sedani saranno ben asciutti riempite le scanalature di metà delle coste con il composto preparato (vi occorreranno circa 15 g di ripieno per ogni coppia), quindi unitele a due a due chiudendo con dello spago legato in cima e in fondo per far rimanere combaciate le coppie.
- Passate i sedani così accoppiati prima nella farina e poi nelle restanti due uova sbattute, quindi friggeteli in abbondante olio bollente per circa 5 minuti, girandoli spesso, e poneteli su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso.
- Quando il ragù sarà pronto, trasferitelo in un tegame largo e dai bordi non molto alti, riportatelo a bollore, quindi adagiatevi i sedani ripieni e fritti; coprite il tegame, abbassate la fiamma e fate sobbollire a fuoco basso per circa 40 minuti, controllandoli spesso, girandoli delicatamente ogni tanto e aggiungendo il brodo di tanto in tanto, fino a terminarlo. Servite subito, accompagnando con un vino rosso “non troppo d’età”: per restare in zona, vi consiglio un Barco Reale di Carmignano
Umberto Mannucci, Bisenzio: Tradizioni e Cucina, 1973, Edizioni del Palazzo
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Se vi va, date uno sguardo anche alle mie Polpette di Sedano alla Pratese
Bellissimo post, Sarà, complimenti!
E grazie per aver contribuito a sapere un pezzettino di più sul nostro meraviglioso Paese e, soprattutto, di aver portato alla nostra attenzione una ricetta particolarissima che mi ha fatto venire una fame!!!
Grazie ?
Stefania, grazie mille del tuo commento! Complimenti per il tuo post sulla cucina di campanile, davvero illuminante… Sono felice che tu abbia apprezzato il mio contributo! Un abbraccio!
Oh pratesaccia…è inutile che tu senta nostalgia di Firenze, oramai sei pratese a tutti gli effetti e te lo dico urlando, anche se non ho mai lavorato ai telai
Hai scritto un post bellissimo, fedele alla storia e alla tradizione della “nostra” città, e forse forse…mi hai fatto ricredere su questo piatto, che ancora guardo con sospetto, ma che prima o poi, voglio cucinare di nuovo! Complimenti davvero sinceri
Aurelia
Ci vediamo domani…
Eheheh Aurelia, ebbene sì sono pratese… Ma ringrazio la nonna se ho voglia di approfondire questa cucina!
I sedani ripieni sono belli complessi, ma danno un’immensa soddisfazione… Riprovaci! Un abbraccio e speriamo a domani, se sto meglio… Ieri sera avevo la febbre a 39 :/
Sara sei incredibile…anche questo post e’ davvero completo…mi hai fatto conoscere tradizioni (questa dell 8 SETTEMBREper esempio..) della mia Prato che io nn sapevo…
La ricetta sembra proprio sublime e , anche a me che nn sono un ‘amante del sedano, mi hai fatto venire l acquolina in bocca.
Grande Sara !
Mamy, vedi quante cose impari a leggermi?
Prima o poi li ripreparo e li faccio assaggiare anche a voi! Un bacione e grazie :*
sara mi hai fatto morire… che a prato ‘eh c’è i telai’

risate a parte, la ricetta non la conoscevo affatto… mai visto niente del genere prima! mi piacerebbe molto assaggiare questi sedani ripieni, è proprio vero che non si finisce mai di imparare, pur restando a pochi kilometri da casa!
un abbraccio grande, buona serata <3
Ehehh Tizi, è così, a Prato “si vocia”!!
E’ una ricetta molto contadina, anche molto lunga, ma prepararla mi ha dato tanta soddisfazione
Sai quante ricette diverse ci sono nell’arco di pochi chilometri… Tante quante sono le famiglie che ci vivono!
Un bacione Tizi, buona serata a te! :*
Sara… che dirti??? Una ricetta che ahimè non conoscevo, ma che è a dir poco strabiliante e meravigliosa. Grazie per avermi fatto conoscere questa delizia. Un abbraccio, Marianna.
Marianna, ma grazie! Non preoccuparti, molti non la conoscono neanche a Prato sai? Ed è un vero peccato che le tradizioni si perdano… Cerchiamo di far sì che non accada! Un abbraccio a te! Sara
Poco da dire, se non con un aggettivo: affascinante.
Ma grazie Gianluca!
Che bel post generoso Sara!!! Stai dando tantissimi contributi al Calendario del Cibo, ma il tuo impegno è sempre in crescendo, e la loro qualità è sempre altissima. Interessante l’introduzione con tanti riferimenti storici, oltre ad aneddoti sul tuo territorio e sui tuoi sedani pratesi. Bellissime anche le foto.
Insomma, che dire? Complimenti!
Grazie mille del tuo commento Susanna! Sono contenta che si noti il mio impegno, davvero, contribuisco spesso ed è un vero piacere per me scoprire, informarmi, documentarmi e condividere, è qualcosa che va ben oltre il semplice cucinare! Quindi grazie doppiamente
Un abbraccio