Oggi con il Calendario del Cibo Italiano parliamo di Cucina di Corte, e lo facciamo con Antonella Eberlin del blog Cucino Io, la nostra ambasciatrice di oggi. Prima di parlare di corte, però, lasciatemi fare una breve intro sull’amicizia, sulla condivisione, sull’unione di intenti che porta a confrontarsi e a darsi una mano a vicenda. Sto parlando di Valentina, amica vera con cui quotidianamente, assieme anche a Lucia, ci scambiamo idee, opinioni e… Libri! E’ stata lei a condividere con noi “Gli Aristopiatti” nel tentativo di trovare qualche buona idea, non banale, per contribuire a questa giornata. Ed io, che – come la stessa Valentina sostiene – sono “cintura nera di pecorino”, di cos’altro potevo innamorarmi se non di questa Crostata di Ricotta con Pecorino, Pere e Noci? 😀 Bando alle ciance quindi: oggi si parla di Papa Pio II e del suo amato Cacio di Pienza… Ma prima leggetevi il post ufficiale di Antonella!
Papa Pio II, prima d’esser papa, fu Enea Silvio Piccolomini, personaggio dell’Umanesimo gaudente dedito ai bagordi, ai banchetti, alla golosità e alla lussuria. Un papa che fu definito “dalla vocazione profana” proprio per i trascorsi di cui vantava: la sua vita precedente, brillante e spensierata, non era proprio la vita dei cortigiani ma, beh, diciamo che ci assomigliava parecchio; sicuramente, non era la vita che si immagina per un uomo di Chiesa. Pio II, infatti, non era arrivato al trono pontificio attraverso i canonici percorsi del chiostro, del seminario e delle vocazioni, ma dopo una laicissima vita spensierata e allegra, che la sua nobile famiglia gli aveva permesso. Aveva scritto poesie d’amore e commedie piccanti, aveva girato il mondo e lasciato tangibile traccia di sè in due figli avuti da una donna bretone e da una scozzese.
Da diplomatico giramondo, il Piccolomini è divenuto in seguito segretario fidato dei cardinali, fino ad essere eletto, a sorpresa, Papa nel 1458; ma all’amore per la buona tavola, egli non ha potuto dire addio. In particolare non ha saputo rinunciare al Pecorino delle “crete senesi”, di cui era esperto conoscitore, tanto da ricercarne il migliore tra quelli prodotti dai pastori della Val d’Orcia, sua zona d’origine, per marchiarlo col suo aristocratico sigillo pontificio, farlo stagionare, e poi gustarselo a Roma con i suoi ospiti cardinalizi, consapevole di offrire loro qualcosa di raro, squisito e unico. Testimonianza di ciò la rintracciamo nel “Commentarii”, diario scritto in terza persona in cui Piccolomini ricorda con affetto la bontà del latte appena munto offertogli in una lurida ciotola da un povero pastore della Val d’Orcia; grande era infatti la sua ammirazione per i sapienti pastori, capaci di trasformare un prodotto semplice in un capolavoro di gusto e di genuinità, quello squisito pecorino che lui stesso amava assaporare con le fave o con le pere, con le noci o con il miele, da buongustaio DOC… Innaffiato, ovviamente, con un buon bicchiere di vino Chianti.
Fu proprio il suo amore per i piaceri della vita e per il bello che lo portò a costruire, sul colle del piccolo borgo di Corsignano – in Val d’Orcia – che gli aveva dato i natali, quella che fu da lui stesso definita la “città ideale”, un sogno umanistico caratterizzato dall’amore per la perfezione architettonica: Pienza (dal suo nome), simbolo dell’architettura rinascimentale oggi patrimonio mondiale dell’UNESCO; il progetto fu affidato all’architetto Bernardo Gambarelli detto “il Rossellino”.
Pienza è nota per il suo squisito Pecorino, fatto con il latte delle pecore che pascolano sulle crete senesi, chiamato semplicemente “il cacio” a significare il formaggio per antonomasia. Un tempo, ogni produttore di cacio aveva le sue ricette segrete, tramandate da padre in figlio quasi fossero tesori di famiglia, e da tempo immemore si tramanda anche la ricetta di una torta dolce a base di pecorino definita “alla moda di Pio II”, a testimonianza della sconfinata predilezione del Piccolomini per questo prodotto…
Non sono ben chiare, come forse è comprensibile, le origini di questa ricetta, ma pare certo che si tratti di una preparazione ormai scomparsa tipica delle campagne senesi. Oltre alla versione presente sul libro “Gli Aristopiatti” passatami da Valentina, mi sono imbattuta in altre varianti, tutte però più o meno simili. Pare che si tratti di una crostata più che di una torta, essendo presente una crosta di pasta frolla dolce; quel che è certo è che il ripieno, la cui base è costituita da ricotta, contiene un’elevata dose di pecorino, molti gherigli di noci e qualche cucchiaio di miele, accostamento antico e – pare – nato proprio in quel di Siena (lo testimonierebbe l’allegoria dell’invidia, rappresentata al Carnevale di Siena nel 1719 come l’unione della confettura col cacio). Le pere, invece, non erano presenti in tutte le versioni da me consultate di questa ricetta, ma il mio sconfinato amore per il binomio “cacio e pere” mi ha impedito di farne a meno!
- 280 g di farina 00 + quella per infarinare la tortiera e la spianatoia
- 1 pizzico di sale
- 115 g di fruttosio (o 125 g di zucchero)
- 120 g di burro + quello per imburrare la tortiera
- 1 uovo
- 300 g di ricotta di pecora freschissima
- 200 g di pecorino di Pienza grattugiato
- 1 uovo
- 40 g di miele di corbezzolo
- 100 ml di latte
- 80 g di gherigli di noci + alcuni per la decorazione
- 1 pera Abate (peso lordo 300 g)
- zucchero a velo per decorare
- Impastate tutti gli ingredienti per la frolla iniziando col mescolare farina, sale e fruttosio (o zucchero), quindi unite il burro a tocchetti e lavoratelo fino ad ottenere un composto sabbioso; incorporate quindi anche l’uovo e lavorate la pasta fino a renderla omogenea. Formate una palla, avvolgetela nella pellicola trasparente e lasciatela riposare in frigorifero per almeno un’ora.
- Nel frattempo, preparate la farcia: in una ciotola lavorate la ricotta con il pecorino, il tuorlo, il miele ed il latte, ottenendo un composto liscio e morbido. Aggiungete le noci spezzettate grossolanamente e la pera sbucciata, privata del torsolo e ridotta in piccoli cubetti; unite infine l’albume montato a neve fermissima, mescolate delicatamente e tenete da parte.
- Trascorso il tempo di riposo della pasta, stendetela su un piano infarinato dandole uno spessore di circa 4 mm e rivestitevi lo stampo precedentemente imburrato e infarinato. Versate il ripieno all’interno della frolla e cuocete nel forno già caldo a 180° C per circa 50 minuti. Una volta sfornata lasciatela intiepidire, quindi decorate la superficie con zucchero a velo e qualche gheriglio di noci. Affettate e servite.
Bibliografia:
P. Scotto, Formaggi e Vini d’Italia, 2004, Gremese Editore
A. Barbagli – S. Barzini, Tipico Italiano, 2010, Giunti Editore
L. Capasso – G. Esposito, Gli Aristopiatti, 2015, Giudo Tommasi Editore
C. Rendina, I peccati del Vaticano, 2009, Newton Compton Editori
http://www.taccuinistorici.it/
http://sapori-italia.it/
http://www.ilforchettiere.it/
antonella dice
torta profumata e da rifare, grazie Sara per il contributo.
Sara Sguerri dice
Grazie mille a te Antonella per essere stata ambasciatrice di questa giornata così importante!
Elena dice
Da leccarsi i baffi Sara !
Lo sai, quando una tua nuova ricetta mi colpisce, e’ amore a prima vista … per questa originale crostata e’ stato proprio cosi’. Bravissima !
pixelicious dice
Grazie davvero di cuore mamy!! :*